Prospettiva
Prospettiva

Prospettiva

Lo sentivo urlare, tutte le volte che andavo a trovare Astrid.
Dal piano di sotto saliva un mugghio, prima sordo poi sempre più definito e forte fino a cesellare una sfilza infinita di improperi e invettive.
Ne ho parlato tanto con Astrid, in questi mesi:
“Ma chi è? Lo incontri mai?”
“E’ il compagno di Tink, hanno una bambina, di più non so” rispondeva la mia amica, con un pizzico di reticenza che sapevo celare informazioni ben più approfondite.
Una volta, due, tre e poi tutte le volte che mi presentavo a casa di Astrid il pensiero andava allo sconosciuto urlatore e la curiosità – compagna impicciona e invadente – mi accompagnava insieme ai biscottini al limone.
La cosa strana era che lo sentivo inveire come in solitaria e allora piano piano mi ero fatta l’idea che stesse lottando al telefono con un famigliare paziente, un amico sordo oppure un nemico acerrimo.
Della sua compagna non sapevo molto di più: minuta, gentilissima, trainata da un enorme cane bianco che regolarmente portava fuori per una passeggiata restituendomi l’impressione che fosse lui, il cane, a determinare l’itinerario e l’intensità del cammino.
In questi mesi mi sono costruita e smontata più e più film: lui che minaccia lei, ma no non è possibile, la vedevo troppo tosta e posata; lui che inveisce contro la madre da cui non ha saputo staccarsi e usa come immondezzaio emotivo, lui che litiga con l’ex per gli alimenti.
Come risultato, l’anonimo invisibile era sempre più presente e Astrid, seduta accanto a me, sempre più nello sfondo.
L’uno prendeva corpo, da immateriale si vestiva dei miei pensieri, l’altra diventava progressivamente più trasparente, la voce lontana, i contorni come sfumati.
Astrid è gentile, paziente per indole e moltissimo per esercizio quotidiano, ma ad un certo punto, in un pomeriggio di dicembre mi sbotta di brutto:
“Hilly, vattene”.
Mi coglie talmente di sorpresa che immediatamente nemmeno reagisco, poi piano piano il significato di vattene arriva dalle orecchie al cuore e allora sgrano gli occhi e balbetto:
“Ma perché? E dove dovrei andare?”
“A casa tua, tanto qui ci sono solo i tuoi pensieri, fai che traslocarli da un’altra parte e quando hai voglia di parlare davvero con me non hai che da suonare il campanello”.
Poi prende le tazze dal tavolo e inizia a lavarle, dandomi la schiena. Chiarissimo, me ne vado, accompagnata da un disappunto rancoroso e ottuso che non accetta di farsi domande.
Oggi ho saputo che il compagno di Tink è morto: soffriva per un cancro che gli ha tolto la vita, il buonumore e la compagnia dei suoi cari.
Rimetto subito tutto a fuoco: le idee svaniscono e la realtà riposiziona immediatamente tutte le caselle al loro posto e nella giusta prospettiva: le urla, di dolore, gli improperi, per la paura, e l’affetto calmo e silenzioso di chi lo ha accompagnato in questa strada impervia.
Io avrei potuto fare qualcosa? Adesso è tardi per dirlo.
Non so di cosa dispiacermi di più, certo è che il pensiero di cercarmi delle scuse lo ricaccio da dove è venuto, e mi muovo per uscire di casa.
Luca, così si chiamava, mi ha insegnato una cosa fondamentale: meglio affrontare la realtà che tenere la testa impegnata nella caverna delle supposizioni; si perde tempo e il tempo è una risorsa non rinnovabile quindi preziosissima. Riposa in pace, e che la terra ti sia lieve.

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