Le giornate a volte scorrono lievi, ed era una bella giornata quella appena trascorsa quando, immemore che le sorprese sono tali proprio perché ti colgono impreparato, ho aperto la posta dell’ufficio per un ultimo sguardo prima di mandare i miei poveri neuroni in pausa.
Eccola lì, nascosta tra la pubblicità e l’ordinario carico di lavoro da sbrigare.
Di tutte le mail che iniziano con “cara” diffidate, sempre, perché la scrittura non restituisce il tono della voce che è il sacro portatore delle intenzioni. Quindi cara potrebbe assumere i significati più disparati, ma nel caso specifico mi ha accompagnato da subito la certezza che celasse una fregatura.
Amen, mi faccio una sigaretta, poi chiamo la Patty, poi do da mangiare al gatto, sento Matt, stendo la lavatrice e poi forse continuo a leggere.
Non è vero, l’ho aperta subito la mail, per scoprire con sommo disappunto che scriveva in ufficio una molto nota professoressa dell’università per chiedere, anzi imporre “1000 battute” per un articolo su una rivista e mi allega uno scritto di una sua tesista che apriti cielo, ragazzi imparate a scrivere please.
La chiamerò Brutta, che non è il suo cognome, ma rende bene l’idea.
Prendo il cellulare e chiamo Anahit:
“Ma come si permetta questa susinska? Il per favore le è rimasto requisito in dogana, la buona educazione nemmeno sa cosa sia” e via così con il Sommo Lamento.
Anahit posata come sempre mi ascolta e dato che mi vuole bene, mi lascia sfogare.
“Ma di cosa ti stupisci Hilly? Sei nata ieri?”
Lo ammetto, quando mi fanno notare che sono un’ingenua e pure lamentosa un poco mi offendo ma tant’è, evidentemente sono meno furba di quello che penso.
“Alle Brutte di questo mondo non bisogna mica dare retta” – continua imperterrita – “fai finta di niente e soprattutto ricorda che la rabbia è una roba che poi ti resta appiccicata e a lavarla via ci metti un sacco di tempo”
“Ma chi cavolo si crede di essere?” – continuo imperterrita – “io mica lavoro per lei”.
Intuisco dalla sospensione del respiro che Anahit ha un attimo di disagio, lei si arrabbia poco e quando lo fa meglio non essere presenti, in genere nel disappunto si assenta un attimo per poi ricomparire poco dopo.
“Hilly fattene una ragione. Oppure lei rifili una mazzata sui denti, e così sei tranquilla che ti ricorderà per un pezzo per una con cui è meglio prendere le distanze, ma poi, cosa ti porti a casa?”
Sogghigno al pensiero di me che dò una lezione alla Brutta già sapendo che il sapore amaro del rimorso mi accompagnerà nel dopocena perché non è che sono così capace a essere genuinamente stronza. Mi viene bene, ma occasionalmente, con spontaneità certo ma con premeditazione mai.
Poi mi sorprende il pensiero che anche io ho la brutta abitudine di immaginare che le cose dovrebbero dipanarsi proprio come voglio io.
E allora arretro, poco perché sono zuccona, ma arretro.
Mi immagino la Brutta circondata da tanti imperativi ma da poco affetto, che si guarda nello specchio e diventa triste. Quest’ultima parte non è credibile perché come il sindaco Grau Kotten insegna, gli arroganti e gli stupidi non sono mai tristi perché non hanno capacità di autovalutazione e nemmeno ironia.
E allora come la risolvo?
Sappiate che non c’è soluzione, o almeno io non l’ho ancora trovata.
Riscrivo da capo l’articolo facendo finta di nulla perché l’universo di Brutta è troppo distante dal mio e chi sostiene che è bello mischiare robe molto diverse deve essersi fumato la carta igienica rollata con dentro l’erba del prato.